Arthur C. Danto: tradurre filosofia, guardare l'arte
Nota alla traduzione di What Art Is
Johan & Levi, Milano

Un autore che ritorna è sempre una soddisfazione.
Quando ho iniziato la seconda traduzione di Arthur C. Danto ho avuto la sensazione
di tornare ad abitare un linguaggio famigliare. E in effetti così è stato, almeno inizialmente.
Tradurre filosofia è un compito delicato anche per un testo che cerca lettori fuori dall'accademia;
in un attimo il linguaggio si fa tecnico, l'argomentazione si aggroviglia, ogni filosofo chiamato in causa impone il suo lessico, anche se per poche righe.
Se a questo aggiungiamo che l'oggetto di questa filosofia è l'arte, di cui si cerca di cogliere l'essenza in una definizione, entrano in gioco anche gli artisti, altri linguaggi, altri mondi spesso radicalmente individualisti.
Anche questo ultimo breve testo di Danto quindi, come il precedente ben più lungo, mi ha riservato alcuni nodi da sciogliere: l'impervio dialogo filosofico tra le due sponde dell'oceano tra cui l'autore getta un ponte a tratti malfermo; pazienti ricerche per ricostruire le fonti non esplicite delle citazioni; vocaboli misteriosi mutuati da effimeri microcontesti; acrobatiche contaminazioni disciplinari.
La letteratura diventa filosofia, la filosofia diventa testo letterario:
ho imparato che questo accade spesso in America, pare sia colpa del pensiero europeo.
Purtroppo questa volta l'autore non ha potuto aiutarmi a sciogliere i dubbi: la sua scomparsa, di cui ho appreso quando ancora stavo lavorando al primo capitolo, mi ha privato di quel confronto divertente e schietto che mi aveva accompagnato nella traduzione di Dopo la fine dell'arte.
Alla luce delle ricerche per questo libro, è stata una fortuna vedere quest'autunno a Milano la mostra "Pollock e gli irascibili" e quella su Andy Warhol. Le osservazioni di Danto su questi artisti le hanno rese infinitamente più interessanti; è forse superfluo dire che conoscere il contesto e il pensiero che prende forma in un'opera o da quell'opera nasce, ne amplifica grandemente l'impatto emotivo. Per non parlare della mia prima Brillo Box vista dal vivo... il chiodo fisso di Danto è diventato, ahimè, anche il mio!
Avendola studiata, tradurre filosofia per me è un punto di arrivo importante. È in questo tipo di testi che capisco quanto l'amore per la parola non sia un fine bensì un mezzo per restituire ogni ragionamento nella sua forma più nitida e fruibile. Non saprei dire con certezza se il lettore troverà nel libro una risposta solida e incontrovertibile alla domanda da cui si parte. Troverà di certo un pensiero stimolante per riflettere sull'arte e sul mondo contemporaneo di cui essa si fa specchio.
Che cos'è l'arte, Johan & Levi, ottobre 2014. Si veda il sito dell'editore Johan & Levi
Danto: cercasi occhio capace di distinguere corpi semantici, di Tiziana Andina su Alias dell'11 gennaio 2015.
Quando ho iniziato la seconda traduzione di Arthur C. Danto ho avuto la sensazione
di tornare ad abitare un linguaggio famigliare. E in effetti così è stato, almeno inizialmente.
Tradurre filosofia è un compito delicato anche per un testo che cerca lettori fuori dall'accademia;
in un attimo il linguaggio si fa tecnico, l'argomentazione si aggroviglia, ogni filosofo chiamato in causa impone il suo lessico, anche se per poche righe.
Se a questo aggiungiamo che l'oggetto di questa filosofia è l'arte, di cui si cerca di cogliere l'essenza in una definizione, entrano in gioco anche gli artisti, altri linguaggi, altri mondi spesso radicalmente individualisti.
Anche questo ultimo breve testo di Danto quindi, come il precedente ben più lungo, mi ha riservato alcuni nodi da sciogliere: l'impervio dialogo filosofico tra le due sponde dell'oceano tra cui l'autore getta un ponte a tratti malfermo; pazienti ricerche per ricostruire le fonti non esplicite delle citazioni; vocaboli misteriosi mutuati da effimeri microcontesti; acrobatiche contaminazioni disciplinari.
La letteratura diventa filosofia, la filosofia diventa testo letterario:
ho imparato che questo accade spesso in America, pare sia colpa del pensiero europeo.
Purtroppo questa volta l'autore non ha potuto aiutarmi a sciogliere i dubbi: la sua scomparsa, di cui ho appreso quando ancora stavo lavorando al primo capitolo, mi ha privato di quel confronto divertente e schietto che mi aveva accompagnato nella traduzione di Dopo la fine dell'arte.
Alla luce delle ricerche per questo libro, è stata una fortuna vedere quest'autunno a Milano la mostra "Pollock e gli irascibili" e quella su Andy Warhol. Le osservazioni di Danto su questi artisti le hanno rese infinitamente più interessanti; è forse superfluo dire che conoscere il contesto e il pensiero che prende forma in un'opera o da quell'opera nasce, ne amplifica grandemente l'impatto emotivo. Per non parlare della mia prima Brillo Box vista dal vivo... il chiodo fisso di Danto è diventato, ahimè, anche il mio!
Avendola studiata, tradurre filosofia per me è un punto di arrivo importante. È in questo tipo di testi che capisco quanto l'amore per la parola non sia un fine bensì un mezzo per restituire ogni ragionamento nella sua forma più nitida e fruibile. Non saprei dire con certezza se il lettore troverà nel libro una risposta solida e incontrovertibile alla domanda da cui si parte. Troverà di certo un pensiero stimolante per riflettere sull'arte e sul mondo contemporaneo di cui essa si fa specchio.
Che cos'è l'arte, Johan & Levi, ottobre 2014. Si veda il sito dell'editore Johan & Levi
Danto: cercasi occhio capace di distinguere corpi semantici, di Tiziana Andina su Alias dell'11 gennaio 2015.